Un libro scritto da una donna europea (Anna Politkovskaja nacque a New York da genitori di origine ucraina, ma più volte si definisce moscovita.)

Un libro di denuncia sociale, a metà strada tra reportage e inchiesta giornalistica, tra diario e invettiva, un libro dal sapore aspro e dai toni amareggiati e risentiti di chi vede il proprio paese sprofondare nel baratro senza che nessuno opponga alcuna resistenza. Ci racconta di un popolo ormai stanco di rivoluzioni e cambiamenti, che chiede solo di essere lasciato in pace, disposto ad abbassare lo sguardo davanti agli abusi del potere, disposto a cedere un pezzo alla volta tutta la libertà gradualmente riconquistata dopo il crollo dell’Unione Sovietica pur di non dover lottare per salvaguardarla e di non subire interferenze nella propria vita privata, rassegnato a non avere alcun peso nel nuovo assetto politico.

Il libro tocca tutti i punti critici della società russa, lo strapotere dell’esercito, la brutalità e l’assenza di regole che regnano al suo interno, e il sabotaggio da parte di Putin del tentativo, avviato da Elc’in, di riformarlo e regolamentarlo allo scopo di mettere un freno all’arbitrarietà del comportamento dei suoi membri, consapevole di quanto il sostegno dell’esercito sia fondamentale per conservare il potere.

Ci racconta di militari sottopagati e frustrati da cui odio e violenza si propagano come un virus dai gradi più alti fino agli ultimi strati della gerarchia militare, di come i soldati semplici siano veri e propri schiavi nelle mai dei superiori, di come l’esercito funga per i più spregiudicati da trampolino di lancio verso la carriera politica, di come i veterani si trovino a fine carriera senza nessuna garanzia e riconoscenza per i servizi resi allo Stato, incapaci di reinserirsi in una società che gli è completamente estranea, finendo spesso per andare a ingrassare le fila dei sicari della malavita.

Ci racconta dello stato di degrado totale in cui versa l’arsenale atomico russo, con tutti i rischi che ne conseguono, e di chi, completamente abbandonato dallo Stato, si ostina a preservarlo per puro senso del dovere nei confronti del proprio paese…

Ci racconta di un popolo disabituato a pensare e a farsi domande, abituato a delegare tutto allo Stato, educato alla paura e all’obbedienza da decenni di dittatura sovietica, che nell’apertura al libero mercato vede l’opportunità per cambiare il proprio status sociale lanciandosi in una corsa senza ritegno ad accaparrarsi le risorse che un tempo furono della collettività, di una società iniqua in cui ad essere premiata è l’obbedienza e non il merito, e in cui l’onestà, sintomo di debolezza, viene punita. Ci racconta dell’Uomo Nuovo della Russia del XXI secolo, senza valori e senza cultura, con la massima aspirazione di arricchirsi, senza remore ad aggirare la legge, e di chi non si riconosce nella nuova società e rifiuta di piegarsi alle sue regole, finendo per esserne sbranato; ci racconta del valore e dell’eroismo di pochi, di singoli cittadini che non si sottraggono alle proprie responsabilità, che ancora credono nella giustizia sociale e lottano per le proprie convinzioni, senza piegarsi a minacce e intimidazioni.

Ci racconta della paga misera che ricevono tutti i dipendenti statali, che sono quindi “costretti” a cedere alla corruzione per poter vivere dignitosamente, dell’assoluta dipendenza dal potere politico di polizia e magistratura, che si limitano ad eseguire o ratificare le decisioni prese dall’alto; del potere illimitato degli oligarchi saldamente intrecciato, fino a confondervisi, con quello della mafia, a cui Putin assicura la massima libertà e impunità purché non manchino mai di appoggiarlo.

Ci racconta dell’ascesa al potere di Putin segnata dal graduale smantellamento della fragile democrazia russa, dal disprezzo per il dibattito pubblico, per i diritti umani, per il giornalismo indipendente e per il libero pensiero; degli orrori della guerra in Cecenia, e della lotta al terrorismo usata come una clava per reprimere qualsiasi forma di dissenso e consolidare il proprio potere.

Ne viene fuori il ritratto di una società piramidale fondata sul privilegio, sull’obbedienza, sulla ricchezza e sull’appartenenza etnica, una società incapace di recidere il cordone ombelicale che la lega allo stalinismo, in cui il divario tra chi possiede tutto e chi non ha neanche di che sopravvive in pochi anni cresce in modo vertiginoso, risultato di un capitalismo senza regole, dal cui vertice Putin pontifica sulla vita di milioni di persone, ridotte a mero strumento nelle mani dello Stato; una società in cui i diritti del singolo vengono quotidianamente schiacciati dagli interessi dello Stato, difeso e protetto dal braccio possente dei servizi segreti, per volontà di Putin tornati ad avere un ruolo centrale nel nuovo assetto del potere.

 Arrivata in fondo a questa lettura appare chiarissimo il perché Anna Politkovskaja sia stata fatta assassinare: una voce coraggiosa e determinata, che cerca di aprire gli occhi ai suoi concittadini, perché anche se per ovvi motivi fu pubblicato all’estero, è ai russi che parla questo libro, è la loro coscienza che si dà il compito di smuovere, ma allo stesso tempo è un feroce rimprovero anche all’occidente, che non ha mai esitato a corteggiare il nuovo Zar (noi italiani con Berlusconi, nominato più volte, in testa), e che, come non manca di ricordarci, “poco si cura della ‘politica antiterrorismo di Putin’ e che invece mostra di gradire la vodka, il caviale, il gas, il petrolio, gli orsi e un certo tipo di persone… l’esotico mercato russo è attivo e reattivo, e l’Europa e il mondo non chiedono altro alla settima parte del globo terrestre, la nostra.”

“Perché ce l’ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per la faciloneria che è peggio del latrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci”.

Questo libro fu pubblicato nel 2004, ormai 16 anni fa… viene spontaneo domandarsi: e oggi?

L’Oggi lo abbiamo tutti sotto gli occhi, ma è impossibile non dolersi che non ci sia più lei a raccontarcelo e a gettare luce sulle ombre sinistre che Putin proietta su tutto ciò che stringe nel suo abbraccio letale.