LETTERATURA

E’ un romanzo di formazione pubblicato da Charlotte Bronte nel 1846

lo stile può risultare a tratti un po’ pesante con descrizioni dettagliatissime della Natura che sembra sempre partecipare alle vicende degli uomini con i suoi colori, i suoni , il freddo, il calore, la pioggia ed i venti.

Descrive una storia d'amore terribilmente attuale, nella quale un uomo e una donna, entrambi mai ritratti come affascinanti, ma dei quali, piuttosto, vengono spesso sottolineati i difetti per mettere in luce il loro non essere perfetti né in linea con i canoni dell'epoca, si innamorano l'uno dell'altra prima ancora di essersi davvero guardati. Perché l'amore non risiede nell'aspetto fisico o nelle regole che la società impartisce, ma in due anime destinate a incontrarsi.

È un testo importante con una suspance che non cala. La protagonista è una giovane donna guerriera nell'animo che sa sovvertire i paradigmi sociali. In ogni pagina vi è un riferimento biblico. Il testo è intriso di religiosità e rispecchia il conflitto interiore vissuto a metà ottocento tra passione e ragione, tra dogma e disinibizione. Impressionante la finezza dell'introspezione psicologica, quasi chirurgica, dei personaggi.

Non c'era ancora la psicoanalisi, il testo è condizionato da un approccio fisiognomico ma davvero incredibili sono le conclusioni di natura psicodinamica a cui arriva la protagonista, nei suoi incontri con altri esseri umani.

Cita diversi brani delle Lettere di San Paolo: e allora quando Jane, di notte, nei pressi del castello, vede giungere al galoppo un cavaliere scuro e all'improvviso il cavallo scivola, si vedono scintille sul selciato e il caliere stramazza a terra e lei lo raccoglie, stordito, come si fa a non pensare alla caduta di Paolo sulla via di Damasco? Tanto più che da quel rialzarsi ammaccato il cavaliere troverà, attraverso Jane, una sua lenta, faticosa salvezza, passando anche lui dalla cecità"…Buio e luce, catarsi, natura, amore, destino

Charlotte Brontë descrive tutte le sfaccettature della psiche della sua eroina, dotandola di una potente e irrefrenabile indole, che scalcia e si ribella al corpo esile e alla mente razionale della sua protagonista.

“Io devo badare a me stessa. Quanto più sono sola, quanto più priva di amici, quanto più indifesa, tanto più devo rispettarmi […] Le leggi e i principi non sono validi solo quando non c’è la tentazione: valgono per momenti come questo, quando il corpo e lo spirito si ribellano al loro rigore”

Il Romanticismo è vissuto e descritto in maniera realistica: prevalgono la razionalità e il controllo delle emozioni.

La sua resistenza all’amore passionale e impulsivo di Mr. Rochester deriva da una fermezza dei propri principi e valori oppure da un’eccessiva diffidenza e timore di essere ingannata?

Charlotte Brontë non dà una risposta certa a questo quesito, ma a un certo punto del romanzo costringe la sua eroina a confrontarsi con le sue paure: l’incontro con St. John Rivers, prete di un’umile parrocchia della campagna inglese, diventa uno specchio davanti al quale Jane Eyre non intende sostare neanche per un secondo; Rivers rappresenta l’essere umano che reprime i propri sentimenti e sessualità in nome dell’amore divino e dei propri doveri di missionario. Un confronto acceso con St. John, diventerà catartico e rivelatore per la protagonista.

Jane è un'eroina anticonformista che, con un animo indulgente ma mai debole, composta e obbediente ma animata da un fuoco interiore che le impedisce di piegarsi alle ingiustizie, combatte la sua battaglia personale in nome della propria indipendenza e dei propri principi. Con battute sarcastiche e una compostezza quasi irritante, riesce ad aprire così tante crepe nell'armatura del suo datore di lavoro, il cupo e affascinante Mr. Rochester, da smuovere in lui una passione così prepotente e selvaggia come solo pochi individui hanno il privilegio di sperimentare.

Suspance e mistero, colpi di scena e il riscatto di una donna che è diventata ciò che ha sempre voluto essere grazie soprattutto a se stessa.

Abel è stato definito dal suo autore “un western metafisico”. 

Il romanzo condensa la storia spirituale del protagonista, le vicende particolari della sua famiglia e una storia d'amore in un racconto visionario che esce da una precisa struttura temporale.

Onnipresente il fascino del grande Ovest e la ricerca delle motivazioni che spinsero quegli uomini così lontano, metafora della vita:

“Era l’Intatto. Dimorava nell’apparente assenza dell’animale uomo” …”così lontani da tutto che noi eravamo tutto, e il nostro nulla l’unica notizia.”

“Mi colpiva come nessuno avesse una reale motivazione per aver attraversato l’indicibile… Erano andati avanti inanellando una serie impressionante di mete parziali, frutto di progetti insignificanti, non di rado codardi. Ecco tutto. Così imparai che la sovrapposizione nel tempo di trascurabili decisioni venate di viltà può portare lontano.. e perfino a una forma di poetico eroismo. L’epopea delle teste di cazzo.”

Uno dei motivi dominanti del libro è l’incontro tra l’uomo bianco e la saggezza ancestrale dei natives. Nella lista dei libri citati dall'autore, non a caso, c’è Alce Nero parla, di John G. Neihardt. È la storia di un guerriero e sciamano sioux che combatté contro il generale Custer a Little Big Horn.

“Non ci passava nemmeno per la testa che fossero umani. Ci volle del tempo. … erano parte dell’intatto …Come i cervi, le aquile o i lupi. Animali, li abbattevamo. Bestie feroci, ci abbattevano”

La saggezza dei nativi e’ espressa dalla giovane Bruja che profetizza ad Abel la sua rinascita (dopo la lunga malattia: forse un richiamo all’esperienza personale dell’autore) 

“Il Giudice le chiese cosa sapeva lei dell’anima. … Ce n’è una sola, disse la bruja…Ogni anima è l’unica anima, e noi tutti un unico respiro…. Ho vissuto giorni interi che tu credi siano stati tuoi. Siamo tutti orme gli uni degli altri. “

“Il nostro libro sacro, disse la bruja, Corre fino all’orizzonte… il testo non è finito, e a scriverlo, ogni giorno e ogni notte, sono i passi degli uomini…. noi passiamo sulla Terra leggeri, nomadi, quasi invisibili. Siamo una mano che scrive. Segni, sulla Terra. Di un’unica mano”

Ha ventisette anni, Abel, quando diventa leggenda. Ha messo fine a una rapina sparando simultaneamente con due pistole contro obiettivi diversi. È lo sceriffo della cittadina di un Ovest immaginario ed è innamorato di Hallelujah Wood, una donna che ha addosso una specie di mistero

La nozione del tempo è dilatata e mai lineare ma ricostruibile mettendo insieme i capitoli come le tessere di un puzzle.

Il western che descrive lo sentiamo vero, ci immaginiamo le aspre vallate e sentiamo, leggendo, le note inconfondibili delle colonne sonore di Sergio Leone. 

Momenti di descrizione e di riflessione (anche filosofica) si alternano e si fondono in tutto il romanzo ma la trama narrativa è ben congegnata e l’attenzione non si perde mai.

“Disse che il caso esiste, sì, ma di rado. È una variante periferica del reale. Aggiunse che quando si è vissuto abbastanza per capire, quel che si capisce è che siamo segmenti di figure più ampie. Incapaci di leggerle, vediamo accadimenti casuali dove invece sfila il profilo di forme in cui sono scritti i nomi del mondo–immani pittogrammi. Con una certa imprecisione, molti definiscono quella scrittura–innata all’uomo–con la parola destino.”

Molto interessante la riflessione sull’entelechia

“…entelechia, per nominare quella tensione che straziava il mondo intero, il suo transitare da intenzione a cosa…

…quando gli chiese dove aveva imparato a sparare così bene lui aveva risposto: in tutto il tempo che da bambino sono rimasto in silenzio, a immaginare…

… a quella distanza, avrebbe detto il Maestro, non sei padrone del tuo destino e del suo. Chi ne è padrone, allora?, gli avevo chiesto. L’intenzione, disse. Lui era convinto che chi immagina con purezza e forza contrae allora lo spazio dell’errore a un soffio, a una sfumatura. Diceva che se un cuore forte imprime un’intenzione al creato, lo crea.”

Bellissimo l’episodio del vecchio che illustra la sua sella ai ragazzi, esercizio letterario raffinato che richiama la descrizione fatta da Omero dello scudo di Achille.

La musicalità del romanzo ci spinge più che alla lettura all'ascolto, le parole, nelle mani di Baricco, si fanno note.

“La luce che scivola verso l’orizzonte predica qualcosa che non capisco, ma intanto accompagna splendida il mio andare. Seguo le orme sulla pista, sono una profezia che si avvera, scortata da remoti voli d’uccello. C’è da rimanere secchi dalla gratitudine e dalla consolazione. Voglia questo istante non abbandonarmi mai, e diventare parte di me, vita contro la morte, sangue sotto la pelle.

La brillantezza dello stile di Baricco si ritrova nel suo saper essere sia spirituale che spiritoso in modo diretto, ironico e spiazzante.

“Fammi esplodere quella chiesa, David, e al resto ci pensiamo io, Joshua e Abel.
È la casa del Signore, Lilith.
Stiamo parlando di uno nato in una grotta, David. Se la caverà.”

Nel mondo di Abel tutto scivola in una dimensione spaziotemporale inafferrabile. Inafferrabile come l’ultraterreno, quello che rimane un mistero tranne che si prendano per buone le Scritture.

Ci sarebbero mille altre citazioni e riflessioni perché è un romanzo breve ma densissimo con tanti spazi vuoti per accogliere le nostre risposte. 

“La vita corre comunque, non ha bisogno di noi per farlo. Corre di padre in figlio, nei gesti più stupidi e nelle grandi curve della Storia, corre dappertutto e in ogni direzione. Noi c’entriamo poco, fa tutto da sola. Se vi dovesse accadere di incrociarla, non abbiate paura. Datele una mano e godetevi lo spettacolo.”

Nato a Brno, nell'allora Cecoslovacchia nel 1929, Kundera studiò letteratura a Praga. Suo padre era direttore dell'Accademia musicale di Brno e un noto pianista. Fin da piccolo Kundera studiò musica, in particolare pianoforte, e la passione per la musica tornerà spesso nei suoi testi letterari.

Nel 1948, ancora studente, si iscrisse al Partito comunista, ma ne fu espulso nel 1950 per via di alcune critiche alla sua politica culturale. Nel 1968 si schierò apertamente a favore della cosiddetta "Primavera di Praga", e fu per questo costretto a lasciare il posto di docente e, nel 1970, nuovamente espulso dal partito.

Nel 1975 è emigrato in Francia, ove ha insegnato alle università di Rennes e di Parigi

“L ‘insostenibile leggerezza dell’essere” è un libro intriso di malinconia e solitudine, malato di esistenzialismo. Kundera ci dimostra che tutto quello che nella vita scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile.

"Chi è pesante non può fare a meno di innamorarsi perdutamente di chi vola lievemente nell'aria, tra il fantastico e il possibile: mentre i leggeri sono respinti dai loro simili e trascinati dalla "compassione" verso i corpi e le anime possedute dalla pesantezza. “

“Non c’è nulla di più pesante della compassione. Nemmeno il nostro proprio dolore è così pesante come un dolore che si prova con un altro, verso un altro, al posto di un altro, moltiplicato dall’immaginazione, prolungato in centinaia di echi.”

Il romanzo, ambientato nella Cecoslovacchia della primavera del 68, si focalizza sul gruppo di intellettuali noto come "il Quartetto di Kundera", composto da Tomáš (un chirurgo di fama e successo che ad un certo punto perde il lavoro a causa di un suo articolo su Edipo che, anche a causa delle modifiche operate dai redattori del giornale a cui lo ha inviato, risulta molto critico nei confronti dei comunisti cechi), la sua compagna Tereza (una fotografa), la sua amante Sabina (una pittrice) e un altro amante di Sabina, Franz (un professore universitario). Questi quattro personaggi vengono seguiti nelle loro vite fino alla fine.

Un saggio-romanzo che sonda la profondità dell’animo umano attraverso continui richiami filosofici, ma che allo stesso tempo spazia anche su tanti altri temi come la politica la religione e l’amore. 

“Il mito dell’eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto… “ 

“la storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell’aria, come qualcosa che domani non ci sarà più”

Che cosa dobbiamo scegliere la leggerezza o la pesantezza?” E’ la dicotomia che interessa tutto il libro, l’eterno dilemma.

Es muss sein!

“La pesantezza, la necessità e il valore sono tre concetti intimamente legati tra loro: solo ciò che è necessario è pesante, solo ciò che pesa ha valore.” 

“la grandezza di un uomo risiede per noi nel fatto che egli porta il suo destino come Atlante portava sulle spalle la volta celeste. L’eroe beethoveniano è un sollevatore di pesi metafisici.”

Cosa ci guida nelle nostre scelte?

La bellezza ed il caso 

“Il giovane che brama la gloria non ha alcuna idea di che cosa sia questa gloria. Ciò che dà un senso al nostro comportamento è sempre qualcosa che ci è totalmente sconosciuto. “

“Un giorno uno prende una decisione senza nemmeno sapere come, e questa decisione continua per propria forza d’inerzia. Con il passare degli anni è sempre più difficile cambiarla”

“L’uomo senza saperlo compone la propria vita secondo le leggi della bellezza persino nei momenti di più profondo smarrimento.”

L’uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale (la musica di Beethoven, una morte alla stazione) in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita. Ad esso ritorna, lo ripete, lo varia, lo sviluppa, lo traspone, come fa il compositore con i temi della sua sonata.”

“Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla. Cerchiamo di leggervi dentro come gli zingari leggono le immagini formate dai fondi del caffè in una tazzina.”

Il lirismo dell’opera consiste non soltanto nelle immagini, ma anche nella ripetizione di alcuni concetti. Vi invito a leggere con attenzione le pagine in cui Kundera parla della magia delle coincidenze, dell’amore 

“Non certo la necessità, bensì il caso è pieno di magia. Se l’amore deve essere indimenticabile, fin dal primo istante devono posarsi su di esso le coincidenze, come gli uccelli sulle spalle di Francesco d’Assisi.”

L’amore che secondo Kundera nasce con una metafora

“Si direbbe che nel cervello esista una regione del tutto particolare che si potrebbe chiamare memoria poetica e che registra ciò che ci affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita… le metafore sono pericolose. L’amore comincia con una metafora. In altri termini: l’amore comincia nell’istante in cui la donna si iscrive con la sua prima parola nella nostra memoria poetica.”

L’amore  che Viene paragonato  ad una composizione musicale 

“Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i temi (così come Tomáš e Sabina si sono scambiati il tema della bombetta), ma quando si incontrano in etrà più matura, la loro composizione musicale è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di diverso nella composizione di ciascuno.”

Le riflessioni si estendono poi anche alla politica:

“Chi pensa che i regimi comunisti dell’Europa Centrale siano esclusivamente opera di criminali, si lascia sfuggire una verità fondamentale: i regimi criminali non furono creati da criminali ma da entusiasti, convinti di aver scoperto l’unica strada per il paradiso. Essi difesero con coraggio quella strada, giustiziando per questo molte persone. In seguito, fu chiaro che il paradiso non esisteva e che gli entusiasti erano quindi degli assassini.”

“La luce rossastra del tramonto illumina ogni cosa con il fascino della nostalgia: anche la ghigliottina.”

Per Kundera Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. E’ per questo che l’uomo non può essere felice

“L’idillio è un’immagine rimasta in noi come ricordo del Paradiso: la vita nel Paradiso non somigliava a una corsa in linea retta che ci conduce verso l’ignoto, non era un’avventura. Essa si muoveva in circolo tra cose conosciute. La sua monotonia non era noia ma felicità.”

Jon Fosse ha vinto quest’anno il premio Nobel per la letteratura. In Italia è uno scrittore praticamente sconosciuto forse perché non facile da affrontare.
Mattino e sera e un romanzo esilissimo che si dipana in un clima sospeso. Non troverete punti nel testo , la narrazione è un flusso continuo , come il mare, non ci sono punti fermi tutto scorre liquido, senza direzione.
Il minimalismo di Fosse è anomalo e screziato, segmentato dalle continue ripetizioni grammaticali e di concetto. «Scrivere per me è più un atto musicale che intellettuale… Intorno ai 12 anni ero immerso nella musica. Nella scrittura cercavo di trovarmi nello stesso stato d’animo di quando suonavo. E il modo per arrivarci era ripetere». In ossequio alla musica, anche la figura stilistica della variazione è centrale nella tessitura. Immagini e impressioni rimbalzano sulla tela del racconto, rimpallate, da un personaggio all’altro, in un gioco di riflessi estenuante, quasi sadico. Aggettivi e sinonimi sono ridotti all’osso. Lo scambio comunicativo è uno stretto sentiero tracciato nella radura del silenzio. I dialoghi sono prosciugati fino al limite del non-dire e alimentati dal fuoco freddo della meraviglia. Ne risulta un distillato di espressioni catatoniche, febbrili, precise
Veniamo alla trama :
Johannes nasce. Stacco. Johannes muore. C’è un salto temporale lungo una vita intera, l’esistenza ordinaria di un pescatore del nord, con moglie e figli, che si intuisce tra le righe, senza essere raccontata.
….piccolo Johannes, vedrà la luce del mondo perché è cresciuto grande sano e bello nell’oscurità e nel calore della pancia di Marta, dal non esistere assolutamente si è trasformato in un essere umano, un bambino, … verrà alla luce in questo mondo freddo dove sarà solo, separato da Marta, separato da tutti gli altri, sarà solo sempre solo e poi, quando verrà il momento, quando sarà la sua ora, si dissolverà e si trasformerà in nulla e ritornerà là da dove viene, dal nulla e al nulla, questo è il corso della vita, ….sì, pensa Olai e poi c’è ancora molto di più, pensa, perché anche se si può pensarla così, dal nulla e al nulla, in realtà non è neppure questo, è molto di più, ma che cos’è allora tutto il resto? il cielo blu, gli alberi a cui spuntano le foglie?
L’attenzione si focalizza sui sentimenti di quest’uomo nel momento in cui viene al mondo – i pensieri disarticolati di chi ancora non sa nominare ciò che sente: “  e poi l’urlo chiaro e nitido è chiaro e nitido come una stella e poi come un appellativo un significato un vento questo respiro un respiro tranquillo e poi calma calma movimenti tranquilli e il panno morbido e il biancore non così vecchio” .
Si può dire che parla di questo, Mattino e sera. dello stupore , all’inizio come alla fine della vita. La metafisica è assente, Fosse non ha intenzione di raccontare più di quello che ciascuno di noi già sa. Si limita a registrare i pensieri, nel modo più fedele possibile; ed è abbastanza impressionate il grado di identificazione che riusciamo a trovare con i percorsi della mente più quotidiani e inconsci di Johannes.
E’ una scrittura introspettiva che si ferma a raccontare ogni passaggio da una sensazione all’altra, i salti rapsodici che il cervello compie tra i vari imput ricevuti, l’oscillazione senza controllo tra i ricordi e il presente.
In Mattino e sera non vi è uno stacco netto tra le varie dimensioni dell’essere, naturali e sovrannaturali, fisiche e spirituali, bensì provvisoria compenetrazione
L'aspetto più bello del romanzo è il modo in cui Fosse mette in scena la morte. Il presente di Johannes, negli attimi in cui sta lasciando la vita terrena, diventa onnipresenza di tutti i momenti del passato. Il tempo si scompone – è possibile incontrare una ragazza che anni prima ha ignorato la nostra lettera d’amore, è possibile rivedere una moglie morta, i figli da bambini, sé stessi nelle varie sfumature assunte. Tutto questo, stavolta, in modo assolutamente ben strutturato, leggibile. Il romanzo racconta meravigliosamente il flusso immaginario e scomposto dei tempi della vita quando li pensiamo.

Pubblicato nel 1890 l ritratto di Dorian Gray è il più celebre romanzo scritto da Oscar Wilde. E’ uno dei capolavori della letteratura classica di fine Ottocento, una storia di genere anti-Vittoriano; contiene la celebre prefazione del movimento Decadentista, un movimento artistico e letterario che si riferisce alla nuova generazione dei poeti maledetti che davano scandalo incitando al rifiuto della morale borghese.

Protagonista è Dorian Gray, un giovane di indubbia bellezza; tutto lo amano e tutti vogliono stare in sua compagnia. Cruciale sarà il suo incontro con Lord Henry che lo introduce alla filosofia del nuovo Edonismo, una vita fondata sul culto della giovinezza e la bellezza.

L’artista Basil Hallward realizzerà un ritratto del signor Gray, ma Dorian impressionato dalla bellezza e dal carisma del dipinto desidererà di essere giovane per sempre. Così una maledizione si scaglierà sul ritratto e sulla vita di Dorian, un patto con il diavolo. Con l’avanzare dell’età, dei vizi e della sua condotta immorale, il ragazzo del dipinto assumerà un aspetto orrendo, mentre il corpo e il volto di Dorian rimarranno esuli dallo scorrere degli anni.

Vi è una riflessione sull’arte  che alla fine costituisce anche la chiave di lettura di tutta la vicenda:“..ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista , non del modello, è piuttosto il pittore che sulla tela dipinta rivela se stesso . ”  poi però si confuta  Un artista dovrebbe creare cose belle , ma non mettervi nulla della propria vita . Nella nostra epoca l’arte è considerata una specie di autobiografia  e  conclude che Lo spettatore e non la vita viene rispecchiato dall’arte..”  ed infatti il ritratto invecchia e si deturpa consensualmente all’abbrutimento della vita del protagonista.  Il quadro custodiva il segreto della sua vita e narrava la sua storia .

Nessuno però vede il ritratto cambiare, solo Dorian che pertanto lo nasconde per paura che il suo segreto venga svelato. Egli è il solo che alla fine lo vede completamente deforme ed orribile e, tentando di distruggerlo, distrugge se stesso. I servi sopraggiunti vedono infatti il ritratto bellissimo e Dorian Grey deturpato ed irriconoscibile. 

La vera opera d’arte è quindi il protagonista che incarna la bellezza e vive la sua vita in società ricercando raffinatezze. “…i canoni della buona società sono , o dovrebbero essere , identici a quelli dell’arte : la forma è per essa assolutamente essenziale.”  “Dorian Gray era il modello di tutto ciò che nella vita può essere affascinante o meraviglioso”.  

Ma l’animo di Dorian è troppo fragile e facilmente corruttibile. Nessuno può salvarlo. È importante ricordare che la bellezza che Dorian persegue incessantemente è una bellezza definita da una sensibilità puramente artistica, in contrapposizione a quella umanitaria.

La sua condotta porta prima  al suicidio dell’attrice Sybil, per il quale Dorian non prova alcun sentimento di rimorso Dorian vede l'evento come soddisfacentemente melodrammatico. La sua ossessione per la bellezza estetica impedisce a Dorian di assistere alle fitte della propria coscienza. “spesso le tragedie della vita si svolgono in modo così antiartistico che ci offendono per la loro cruda violenza , la loro assurda mancanza di significato e di stile” “ Solo la gente mediocre ha bisogno di anni per liberarsi di un’emozione . Un uomo che sia padrone di sé può far terminare una pena con la stessa facilità con cui inventa un piacere . Io non voglio essere in balia delle mie emozioni . Voglio valermene , goderne e dominarle” e poi, a seguito di altre nefandezze ,all’omicidio del pittore Basil. L’affetto di Basil nei confronti di Dorian sembra sorgere dall'amore genuino dato che le sue ammonizioni per Dorian sono date in modo che possa trovare la sua anima.

Dorian inizia il romanzo come un innocente giovane. 

Sotto l'influenza di Lord Henry diventa corrotto e alla fine inizia a corrompere altri giovani. 

Una delle principali questioni filosofiche sollevate da questo romanzo è quella di dove individuare la responsabilità dei misfatti di una persona.

“ Non esistono buone influenze, signor Gray . Ogni influenza è immorale . . .” “ Perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima . Egli non pensa più i suoi naturali pensieri , non arde più delle sue naturali passioni , non ha più le sue reali virtù. Egli diventa l’eco della musica suonata da un altro , l’attore di una parte che non è stata scritta per lui”. “…in taluni momenti , il desiderio del peccato o di ciò che il mondo chiama peccato diviene in noi così dominante che ogni fibra della persona , ogni cellula del cervello sembra agitata da paurosi impulsi . In tali momenti l’uomo e la donna perdono la libertà del volere , muovono come automi verso la loro conclusione fatale . Non hanno più possibilità di scelta , la loro coscienza è morta o , se è ancora viva , lo è per dare alla ribellione il suo fascino , alla disobbedienza la sua attrattiva . Perché tutti i peccati , come i teologi non si stancano di ripetere , sono peccati di disobbedienza… “

Nel romanzo, ci sono forti sfumature omosessuali nelle relazioni tra i tre personaggi centrali (Dorian, Lord Henry e Basil Hallward), così come tra Dorian e molti dei giovani le cui vite si dice abbiano "rovinato", in particolare Alan Campbell. 

Nella sua revisione del romanzo per la sua versione ufficiale, dopo che è apparso sul Monthly Magazine di Lippincott, Wilde ha rimosso tutti i più sfacciati riferimenti all'omosessualità. 

Questo tema ha spinto molti critici a leggere il romanzo come la storia della lotta di un uomo con le sue inclinazioni socialmente inaccettabili. 

In effetti, alcuni ritengono che Wilde stia elaborando i propri sentimenti conflittuali sull'argomento attraverso il romanzo. 

Nonostante lo scandalo suscitato in seguito alla sua pubblicazione, e le conseguenti critiche di immoralità, Il Ritratto di Dorian Gray è un romanzo profondamente morale, che ci mette in guardia dai pericoli del vizio e di una vita troppo dedita ai piaceri. 

La vita di Dorian non suscita desiderio di emulazione nel lettore, che anzi la percepisce come squallida. E' come se Dorian ed Henry travisassero i valori dello stesso Wilde.