Jonathan Littell (New York, 10 ottobre 1967) è uno scrittore statunitense naturalizzato francese. Nato in una famiglia di origine ebraica, emigrata dalla Polonia negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento, ha trascorso l'infanzia in Francia. Dopo tre anni trascorsi all'università Yale, si reca nei Balcani in conflitto, dove si impegna nell'azione umanitaria, in seno all'ONG Action contre la faim, per la quale lavorerà sette anni, soprattutto in Bosnia, ma anche in altri luoghi, quali la Cecenia, l'Afghanistan, il Congo. Nel 2001 lascia l'azione umanitaria per dedicarsi alla scrittura del suo primo romanzo: Le benevole che ha ottenuto due importanti riconoscimenti letterari: il Grand Prix du Roman de l'Académie Française e il Prix Goncourt ed ha sollevato numerose polemiche.

Si tratta di un romanzo storico nel quale un ufficiale delle SS narra in prima persona gli orrori che ha commesso durante la guerra per obbedienza, come se fossero delle azioni perfettamente normali che chiunque secondo lui, avrebbe potuto effettuare se si fosse trovato nella sua situazione.

Fratelli umani, lasciate che vi racconti com’è andata. Non siamo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un vero racconto morale, ve l’assicuro.”

“Non ho alcun rimpianto: ho fatto il mio lavoro, tutto qui”

“….forse voi avete avuto più fortuna di me, ma non siete migliori. Perché se avete l’arroganza di pensarlo, qui incomincia il pericolo.

Questo percorso è raramente frutto di una scelta, per non dire di una predisposizione. Le vittime, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono state torturate o uccise perché erano buone, così come i loro aguzzini non le hanno tormentate perché erano cattivi.”

“..Di pazzi ce ne sono ovunque, sempre. I nostri tranquilli sobborghi pullulano di pedofili e psicopatici..

..Quegli uomini malati non sono niente. Gli uomini comuni di cui è composto lo Stato – soprattutto in periodi di instabilità -, ecco il vero pericolo. Il vero pericolo per l’uomo sono io, siete voi”

Le Eumeidi o Erinni erano nella mitologia greca la personificazione della vendetta e rappresentavano il lancinante rimorso che scaturisce nella mente dell'uomo dopo aver commesso i fatti di sangue più efferati; al fine di placarle vennero chiamate anche "Eumenidi" ossia "Le benevole".

Il protagonista all'inizio del libro afferma di non pensare al suicidio come soluzione dei suoi delitti, segno tangibile, che il peso di quelle azioni grava comunque su di lui come un macigno... anche se egli vuole cacciarlo via con scuse e vane giustificazioni.
Forse l’impresa e lo scandalo di questo grande romanzo, come ha scritto lo storico Pierre Nora, sono proprio quelli di «ricondurre all’umano l’inumano totale».

Il Dottor Aue, il protagonista, è un giurista che spinto dall’entusiasmo per il neo partito nazionalsocialista decide di aderirvi: è una persona colta, un’intellettuale che appena può si dedica alla lettura dei libri e ascolta la musica classica e nonostante tutte le terribili azioni che commette, ricerca cause e fondamenti, si pone dei dubbi, mette in discussione.

 Aue, per quanto possa essere criticabile non è un mostro senz’anima, ha una propria interiorità e delle emozioni. Emblematico è il caso del vecchio Nahum ben Ibrahim, che tutti vogliono liquidare senza dargli ascolto ma lui resta quasi affascinato dai suoi discorsi, anche se poi non ha ripensamenti quando giunge il momento di ucciderlo. Quando Aue assiste in prima persona alle uccisioni di massa e agli orrori della guerra, viene colpito da un malessere psicosomatico: nausea, vomito e diarrea.

Quello che colpisce di questo romanzo è come tutti quelli che hanno contribuito all’Olocausto, ognuno a modo suo, chi più chi meno, facevano quel “lavoro” in modo automatizzato, guidato da azioni quotidiane di routine. Aue, e lui come tutti gli altri, non è la rappresentazione del male assoluto, ma piuttosto è un colpevole incosciente dei suoi crimini ed è un esecutore di ordini. Esemplare in questo caso è il popolo dei Bergjuden: gli ufficiali non sapevano se erano da ritenersi ebrei e quindi da uccidere oppure no e trattano il loro caso aprendo un vero e proprio dibattito scientifico e rimandando la decisione finale a quando avranno prove decisive. Hanno discusso della vita delle persone come se fossero a una riunione condominiale o amministrativa. È agghiacciante ma ci mostra chiaramente che questo era il loro lavoro e loro volevano farlo al meglio, nel modo migliore e più efficiente possibile. 

Ma poi non è vero in assoluto perché Lo stesso protagonista ammette:

Sapevo che quelle decisioni venivano prese a un livello ben superiore al nostro; d’altronde non eravamo neanche automi, non era importante solo obbedire agli ordini, ma anche condividerli; io avevo dei dubbi, e la cosa mi turbava.”

“Si crede ancora alle idee, ai concetti, si crede che le parole definiscano dei concetti, ma non è necessariamente cosí, forse non esistono idee, forse solo le parole esistono davvero, e il peso che ciascuna di loro possiede. E forse è cosí che ci eravamo lasciati trascinare da una parola e dalla sua inevitabilità. In noi, quindi, non c'era stata nessuna idea, nessuna logica, nessuna coerenza?

C'erano state solo parole della nostra lingua cosí particolare, solo quella parola, Endlösung, la sua sontuosa bellezza?”

“Pensare, lo prevedevo, avrebbe subito fatto nascere domande ed esigenze dolorose: per una volta, non ne sentivo il bisogno, mi accontentavo di lasciarmi trasportare dal corso delle cose.”

Littell popola questo mondo quasi reale di una miriade di personaggi, dove quelli reali si mescolano a quelli inventati dall’autore stesso in modo uniforme e senza sbavature. 

Ho trovato pesante, inutile e sinceramente eccessiva la parte antecedente il finale (quella del periodo trascorso da Aue nella villa della sorella): un centinaio di pagine in meno non avrebbero tolto nulla. Disturbante

Ma accanto a questa esiste un’ altra chiave di lettura: il protagonista è un pervertito che si macchia anche di altri orrendi delitti non politici ma privati (uccide la madre colpevole di averlo allontanato dal padre scomparso quando Aue era giovanissimo e dalla sorella verso la quale ha sentimenti incestuosi, ed uccide il suo migliore amico che più volte lo ha salvato nel tentativo estremo di salvarsi lui stesso) 

Non concordo quindi con chi ha scritto che questo libro voglia essere una sorta di autogiustificazione nel compiere gli ordini dati. Al contrario credo che l'intento sia stato quello di farci comprendere che atti tanto crudeli possano essere compiuti soprattutto da personalità alquanto disturbate, con profondi disagi interiori. Non si può semplicemente pensare che le atrocità che si sono susseguite nell'arco della nostra Storia siano frutto di semplici ordini, il disagio interiore è concime per le crudeltà.
Le benevole è un'opera complessa,  dalle mille sfaccettature, in cui la ricostruzione della vita dell'ufficiale Maximilian Aue, funge solo da pretesto per un'analisi a tutto tondo del nazismo, dove l'attenzione si focalizza oltre che sugli eventi, sugli uomini coinvolti, ponendoli in primo piano durante tutta la narrazione.
Littell è stato in grado di unire la storia alla finzione creando un'amalgama abbastanza fluida e convincente.
Sul piano prettamente storico, egli confeziona pagine durissime sullo sterminio degli ebrei in terra russa, dipingendo scene raccapriccianti e dolorosamente realistiche, denotando un ottimo studio dei documenti dell'epoca.
Stupefacente anche l'approfondimento riservato all'aspetto antropologico della questione razziale, con lunghe dissertazioni di etnologia linguistica e con intricate dispute sulla metodologia da adottare per distinguere i ceppi ebraici dalle popolazioni caucasiche autoctone, argomenti che sono apprezzabilissimi per infondere valore al testo, tuttavia ardui da leggere.
Reali e suggestive le immagini di Berlino stretta sotto assedio, la speranza e la resistenza prima , la disperazione e la resa della città dopo.
Tirando le somme, devo ammettere che il testo è veramente complicato da leggere, vuoi per la mole delle pagine, suddivise in pochi capitoli, vuoi per lo stile narrativo, piuttosto ampolloso, prolisso, in diversi punti sfiancante, vuoi per un ritmo in prevalenza lento.