Abel è stato definito dal suo autore “un western metafisico”.
Il romanzo condensa la storia spirituale del protagonista, le vicende particolari della sua famiglia e una storia d'amore in un racconto visionario che esce da una precisa struttura temporale.
Onnipresente il fascino del grande Ovest e la ricerca delle motivazioni che spinsero quegli uomini così lontano, metafora della vita:
“Era l’Intatto. Dimorava nell’apparente assenza dell’animale uomo” …”così lontani da tutto che noi eravamo tutto, e il nostro nulla l’unica notizia.”
“Mi colpiva come nessuno avesse una reale motivazione per aver attraversato l’indicibile… Erano andati avanti inanellando una serie impressionante di mete parziali, frutto di progetti insignificanti, non di rado codardi. Ecco tutto. Così imparai che la sovrapposizione nel tempo di trascurabili decisioni venate di viltà può portare lontano.. e perfino a una forma di poetico eroismo. L’epopea delle teste di cazzo.”
Uno dei motivi dominanti del libro è l’incontro tra l’uomo bianco e la saggezza ancestrale dei natives. Nella lista dei libri citati dall'autore, non a caso, c’è Alce Nero parla, di John G. Neihardt. È la storia di un guerriero e sciamano sioux che combatté contro il generale Custer a Little Big Horn.
“Non ci passava nemmeno per la testa che fossero umani. Ci volle del tempo. … erano parte dell’intatto …Come i cervi, le aquile o i lupi. Animali, li abbattevamo. Bestie feroci, ci abbattevano”
La saggezza dei nativi e’ espressa dalla giovane Bruja che profetizza ad Abel la sua rinascita (dopo la lunga malattia: forse un richiamo all’esperienza personale dell’autore)
“Il Giudice le chiese cosa sapeva lei dell’anima. … Ce n’è una sola, disse la bruja…Ogni anima è l’unica anima, e noi tutti un unico respiro…. Ho vissuto giorni interi che tu credi siano stati tuoi. Siamo tutti orme gli uni degli altri. “
“Il nostro libro sacro, disse la bruja, Corre fino all’orizzonte… il testo non è finito, e a scriverlo, ogni giorno e ogni notte, sono i passi degli uomini…. noi passiamo sulla Terra leggeri, nomadi, quasi invisibili. Siamo una mano che scrive. Segni, sulla Terra. Di un’unica mano”
Ha ventisette anni, Abel, quando diventa leggenda. Ha messo fine a una rapina sparando simultaneamente con due pistole contro obiettivi diversi. È lo sceriffo della cittadina di un Ovest immaginario ed è innamorato di Hallelujah Wood, una donna che ha addosso una specie di mistero
La nozione del tempo è dilatata e mai lineare ma ricostruibile mettendo insieme i capitoli come le tessere di un puzzle.
Il western che descrive lo sentiamo vero, ci immaginiamo le aspre vallate e sentiamo, leggendo, le note inconfondibili delle colonne sonore di Sergio Leone.
Momenti di descrizione e di riflessione (anche filosofica) si alternano e si fondono in tutto il romanzo ma la trama narrativa è ben congegnata e l’attenzione non si perde mai.
“Disse che il caso esiste, sì, ma di rado. È una variante periferica del reale. Aggiunse che quando si è vissuto abbastanza per capire, quel che si capisce è che siamo segmenti di figure più ampie. Incapaci di leggerle, vediamo accadimenti casuali dove invece sfila il profilo di forme in cui sono scritti i nomi del mondo–immani pittogrammi. Con una certa imprecisione, molti definiscono quella scrittura–innata all’uomo–con la parola destino.”
Molto interessante la riflessione sull’entelechia
“…entelechia, per nominare quella tensione che straziava il mondo intero, il suo transitare da intenzione a cosa…
…quando gli chiese dove aveva imparato a sparare così bene lui aveva risposto: in tutto il tempo che da bambino sono rimasto in silenzio, a immaginare…
… a quella distanza, avrebbe detto il Maestro, non sei padrone del tuo destino e del suo. Chi ne è padrone, allora?, gli avevo chiesto. L’intenzione, disse. Lui era convinto che chi immagina con purezza e forza contrae allora lo spazio dell’errore a un soffio, a una sfumatura. Diceva che se un cuore forte imprime un’intenzione al creato, lo crea.”
Bellissimo l’episodio del vecchio che illustra la sua sella ai ragazzi, esercizio letterario raffinato che richiama la descrizione fatta da Omero dello scudo di Achille.
La musicalità del romanzo ci spinge più che alla lettura all'ascolto, le parole, nelle mani di Baricco, si fanno note.
“La luce che scivola verso l’orizzonte predica qualcosa che non capisco, ma intanto accompagna splendida il mio andare. Seguo le orme sulla pista, sono una profezia che si avvera, scortata da remoti voli d’uccello. C’è da rimanere secchi dalla gratitudine e dalla consolazione. Voglia questo istante non abbandonarmi mai, e diventare parte di me, vita contro la morte, sangue sotto la pelle.
La brillantezza dello stile di Baricco si ritrova nel suo saper essere sia spirituale che spiritoso in modo diretto, ironico e spiazzante.
“Fammi esplodere quella chiesa, David, e al resto ci pensiamo io, Joshua e Abel.
È la casa del Signore, Lilith.
Stiamo parlando di uno nato in una grotta, David. Se la caverà.”
Nel mondo di Abel tutto scivola in una dimensione spaziotemporale inafferrabile. Inafferrabile come l’ultraterreno, quello che rimane un mistero tranne che si prendano per buone le Scritture.
Ci sarebbero mille altre citazioni e riflessioni perché è un romanzo breve ma densissimo con tanti spazi vuoti per accogliere le nostre risposte.
“La vita corre comunque, non ha bisogno di noi per farlo. Corre di padre in figlio, nei gesti più stupidi e nelle grandi curve della Storia, corre dappertutto e in ogni direzione. Noi c’entriamo poco, fa tutto da sola. Se vi dovesse accadere di incrociarla, non abbiate paura. Datele una mano e godetevi lo spettacolo.”