Mi è ricapitato in mano in questi giorni, rimettendo a posto la libreria. Lo avevo letto nel lontano 1973 (avevo solo 12 anni), ma la concessione del Nobel a Solzenicyn e l’argomento del libro (i campi di concentramento di Stalin  nei quali persero la vita più di 20 milioni di uomini, e dei quali fino ad allora non si era voluto parlare)  ebbero una tale risonanza che volli leggerlo anche se per un ragazzino cosi giovane era un libro molto difficile.  E ‘ ancora un libro difficile perché non è un romanzo e non è un saggio, assomiglia piuttosto ad un documentario televisivo. E’ scritto in base ai ricordi personali di Solzenicyn e alle lettere, ricordi e racconti di altre 227 persone : “non ci sono personaggi ne fatti inventati: uomini e luoghi sono chiamati con il loro nome.” 

È difficile perché fa spesso riferimento a luoghi e fatti storici che non ci sono familiari e soprattutto a vicende e personaggi della rivoluzione d’ottobre e del comunismo sovietico che sono completamente sconosciuti alla nostra cultura: di qui il continuo ricorso alle note esplicative che spesso interrompono il ritmo della lettura. Anche lo stile non è facile con periodi spesso convoluti ed una traduzione forse non ottimale.

Solzenicyn ripercorre tutta la storia delle “fiumane umane “ che scorrendo nel sottosuolo della società rilassa sono andate e riempire i lager. 

Esamina tutti i passaggi attraverso i quali il viaggio si svolgeva dall’arresto, all’ istruttoria, 

Dalle prigioni iniziali di raccolta, ai processi pubblici, ai trasporti , alle prigioni di transito: 

“ .. Nella cella poco più grande di una stanza media, eravamo in 100, pigiati in modo da non poter muovere un passo. Le due piccole finestre erano chiuse con museruole di ferro laminato; dalla parte sud, non solo non permettevano all’aria di entrare ma il sole le arroventava e mandavano il bollore in cella..”

I giudici istruttori:  

“…il loro mestiere non esige che siano persone istruite, di cultura e vedute larghe, e tali non sono. Il mestiere non esige che pensino logicamente, e non lo fanno. Il mestiere esige unicamente l’esecuzione delle direttive e siano insensibili verso le sofferenze altrui, e questo sì, lo fanno. Noi che siamo passati attraverso le loro mani li sentiamo, con un senso di soffocamento, come blocco di esseri totalmente privo di concetti umani….  io ricordo di più e cose più interessanti, di qualunque compagno di cella che non del capitano della sicurezza dello Stato, pur avendo passato non poche ore dirimpetto a lui. Rimane a noi tutti un comune e giusto ricordo di marciume, di uno spazio interamente invaso da putredine. Decenni dopo, senza alcun eccesso di rabbia o di amarezza, conserviamo nel cuore oramai placato la netta impressione di uomini bassi, maligni, turpi e forse disorientati…”  

I carcerieri , gli uomini dei servizi segreti quasi sempre inumàni e freddi verso i quali tuttavia non nutre rancore: 

“..Socrate ci ha lasciato in eredità il suo conosci te stesso. Ci fermiamo stupefatti davanti alla fossa nella quale eravamo lì per spingere i nostri avversari: e puro caso sei boia non siamo noi, ma loro” 

“ …Se fosse così semplice! Se da una parte ci fossero uomini neri che tramano malignamente opere nere e bastasse distinguerli dagli altri e distruggerli? Ma la linea che separa il bene dal male attraversa il cuore di ognuno…Chi distruggerebbe un pezzo del proprio cuore? Nel corso della vita di un cuore quella linea si sposta.. Il medesimo uomo diventa, in età differenti, in differenti situazioni, completamente un altra persona: ora è vicino al diavolo, ora al  santo ma il suo nome non cambia….”

E’ stata la sua vita per un decennio ed a molti posti e persone è rimasto affezionato come ad una famiglia. Non c’è nei suoi scritti risentimento ma , come per altri grandi scrittori russi, si affaccia la pietà anche verso i persecutori. Tutto il libro e pervaso dallo sforzo di narrare i fatti concreti ma anche di comprenderli di capire come tutto sia potuto accadere: 

“….Per fare del male l’uomo deve prima sentirlo come bene o come una legittima, assennata azione. La natura dell’uomo è, per fortuna, tale che egli sente il bisogno di cercare una giustificazione alle proprie azioni. L’ideologia! È lei che offre la giustificazione del male che cerchiamo e la duratura fermezza occorrente al malvagio. Occorre la teoria sociale che permette di giustificarci di fronte a noi stessi e agli altri, di ascoltare, non rimproveri, non maledizioni, ma lodi e omaggi. Così gli inquisitori si facevano forti con il cristianesimo, i conquistatori con la glorificazione della patria, i colonizzatori con la civilizzazione, i nazisti con La Russa, i giacobini vecchi e nuovi con l’uguaglianza, la fraternità, la felicità delle future generazioni..”

Infine su Stalin il giudizio più severo e definitivo:

“…La fisica conosce soglie di vari fenomeni e grandezze, che non esistono affatto fino a che non è oltre passato un certo limite noto dal dalla natura e da questo codificato a quanto pare anche la grandezza della malvagità ha una sua soglia. L’uomo oscilla tutta la vita tra il male e il bene, scivola, cade, Si riarrampica, si pente, sia tenebra nuovamente, ma fino a che non a varcato la soglia della malvagità il ritorno rimane nelle sue possibilità, ed egli resta nell’ambito delle nostre speranze. Quando invece, la densità delle azioni malefiche, o il loro grado, o per il carattere assoluto del potere, egli oltrepassa d’un tratto la soglia, esorbita dall’umanità, forse senza possibilità di ritorno…”